Cristóbal López Hernandez, detto el flaco
La traduzione è più o meno così: “Cerco sempre di essere il migliore in tutto ciò che faccio, ma sempre ci sarà qualcuno che cercherà di sminuirti. Il punto è trovare il modo di sentirti sempre “a gusto” (questo è intraducibile dal mio punto di vista :P), non soddisfatto, perché la soddisfazione è dei mediocri. La vita mi ha insegnato che c’è sempre qualcosa di positivo anche nelle disavventure.” L’ultimo giorno invece l’ho passato a San Juan Chamula, e qui le cose si complicano perché descrivere ciò che succede all’interno della chiesa principale è davvero tosto. Non si possono fare foto né video. San Juan Chamula è uno dei pueblos più ribelli di tutto il Messico, e in questo posto oltre alla legge “normale” vige una legge detta di usos y costumbres per cui la comunità può decidere anche contro la legge ufficiale. Per esempio, se fai una foto a qualcosa che non devi ti spaccano il cellulare e se protesti rischi anche cose peggiori. Entrando in chiesa il pavimento è cosparso di erbe che mi ricordano aghi di pino. C’è un odore strano, simile all’incenso mescolato con la cera sciolta. La chiesa è molto povera e alterna altari ufficiali ad altari un po’ più rustici, improvvisati composti da una serie di candele una a fianco all’altra disposte su più file. Di fronte alle candele gruppi di indigeni locali vestiti come fossero in un altro mondo, anche se in quel momento ero io, e tutti quelli come me ad essere in un altro mondo. Parlano una lingua strana che mi dicono chiamarsi tzotzil. È la lingua locale di cui io non riesco a capire nemmeno una parola. La usano tra di loro ma la usano anche durante i loro rituali in cui passano sopra le candele bottiglie di cocacola, fanta e sprite. Poi una gallina. Di lì a poco verrà sacrificata. Bevono in piccoli bicchieri e a piccoli sorsi il contenuto della bevanda che alternano quasi come ci fosse un copione da seguire. A volte spargono il liquido tra le candele. Per maggiori dettagli su quello che succede a San Juan Chamula vi invito a leggere il racconto dell’amico Alberto Bile --> QUI <-- Per il resto quello che posso dire è che la persona che esce da quella chiesa non è la stessa che è entrata. In quella chiesa qualcosa ti cambia. Le ultime ore a San Cristóbal le ho passate con una tristezza che non mi sapevo spiegare. Una voglia di rimanere là senza un perché. Mi avevano avvisato prima di andare: “Seguro vas a querer quedarte”. L’ultima cosa che mi porto via da San Cristóbal è l’incontro con un artista di strada che suonava il violino nella calle principal. Non so il suo nome, non mi è parso interessante chiederlo in quel momento. Forse non sapere il nome lo rende anche più interessante no? Di sicuro rente più interessante la storia di un ragazzo argentino che come vita ha scelto il viaggio e per vivere ha deciso di condividere con gli altri qualcosa che sa fare bene: suonare il violino. Questo l’ultimo capitolo di un viaggio durato due settimane e fatto di oltre 4 mila chilometri, varie notti in autibus, e varie notti senza dormire in un letto vero. Un viaggio che mi avevano sconsigliato (non per i posti, ma per la modalità) ma che rifarei altre mille volte. Nos vemos amigosDiario di bordo: 394 giorni dall’arrivo